Da l 1952 partecipa a quasi tutti i Festival della Canzone Napoletana, portando al successo canzoni amate e cantate ancora oggi, fra cui vale la pena di ricordare almeno:

“Sciummo di Bonagura – Concina (1952);

“ ‘O ritratto ‘e Nanninella” di Scarfò – Vian (1955);

“Suonno a Marechiaro” di Fiore – Vian (1958);

“Vieneme nzuonno” di Zanfagna – Benedetto (1959).

Si classifica primo nel 1962 con “Marechiaro Marechiaro” di Murolo – Forlani e nel 1966 con “Bella” di Pugliese – Rendine e avrebbe vinto anche il festival del 1960 con “Serenata a Maegllina” di Martucci – Mazzocco, ma si ritirò clamorosamente all’ultimo momento, rifiutandosi di partecipare alla serata finale per una diatriba con Claudio Villa e gli organizzatori.

Sergio Bruni non amava i festival, non sempre vi partecipò e quando la Rai, nel 1971, ritirò le telecamere, impedendone l’ultima edizione, racconta di aver stappato una bottiglia di champagne per brindare all’avvenimento con i suoi familiari.

Nel 1960, al culmine della sua carriera, partecipa per la prima volta al Festival di Sanremo.

Canta “Il mare” di Pugliese – Vian e. “È mezzanotte” di Testa – C.A. Rossi, entusiasmando tutta l’Italia.

Tutti gli impresari gli fanno la corte ma l’artista rifiuta contratti favolosi per concedersi una pausa di riflessione.

Si ritira nella sua villa di Napoli e stipendia per anni il suo pianista di allora, Gianni Aterrano, per dedicarsi quasi esclusivamente allo studio della canzone napoletana classica.

Riduce drasticamente le sue esibizioni e, fra la rabbia di molti suoi fans, abbandona gradualmente tanti suoi successi.

Il suo repertorio comincerà ad essere costituito sempre più da canzoni classiche.

E da allora continuerà a cantare solo i brani che riterrà più vicini al suo gusto personale e più adatti al suo stile vocale, indipendentemente dall’epoca in cui sono stati scritti.

In tanti anni di carriera Bruni ha legato al suo nome e contribuito a far conoscere a più generazioni tante antich canzoni.

Fra le tante sono da ricordare per le sue interpretazioni almeno “Fenesta vascia”, “La serenata di Pulcinella”, attribuita a Cimarosa e “La rumba degli scugnizzi” di Raffaele Viviani.

Intorno agli anni ’60 Bruni tiene concerti in tutto il mondo, dall’America alla Russia, pur accettando solo una piccola parte delle proposte che gli vengono offerte.

Proverbiali sono il suo rigore e la pignoleria mal sopportati da un ambiente che a questo non è abituato.

Rinuncia, perciò, a fiumi di denaro perché raramente riesce ad ottenere quelle che lui ritiene essere le necessarie garanzie artistiche e organizzative.

Sergio Bruni aveva già scritto la musica di canzoni di grande successo, fra le altre vanno ricordate “Palcoscenico” su versi di Enzo Bonagura (1956) e “Na bruna” con Langella e Visco (1971), ma giunto al massimo della sua parabola artistica come cantante, comincia a porsi il problma della continuazione della canzone napoletana.

Viene stimolato – come ama spesso raccontare – da un articolo apparso su “Il Mattino” nel quale un noto esponente della cultura napoletana dichiara in un intervista che secondo lui la canzone napoletana è morta.

Effettivamente, dopo l’avvento del rock e di altre forme musicali, i tempi non sembrano essere favorevoli.

Tuttavia, ad alcuni amici che lo invitano ad esprimere il suo disaccordo attraverso il giornale, risponde orgogliosamente che risponderà con la musica.

Decisivo è l’incontro con il poeta Salvatore Palomba, comincia a musicarne alcune poesie dal libro “Parole overe”, fra cui “Carmela” che diventerà un classico della canzone napoletana.

È il 1975, un anno dopo viene pubblicato l’album “Levate ‘a maschera Pulicenella” con otto canzoni su versi di Palomba e musiche sue, ispirato alla Napoli attuale.

Contemporaneamente al disco viene realizzato, nell’ottobre del ’76, uno spettacolo televisivo dallo stesso titolo e poi uno spettacolo teatrale.

Il sindaco di Napoli invia all’artista questo telegramma: “Permettetemi di felicitarmi con Voi e con il poeta Salvatore Palomba per la trasmissione televisiva “Levate ‘a maschera Pulicenella”. Particolarmente interessante è il tentativo di liberare la canzone napoletana da folklore deteriore e da sentimentalismo attingendo alla cruda realtà di Napoli e alle drammatiche condizioni di vita del suo popolo costretto ad inventare mille mestieri per non morire.

I nuovi contenuti possono dare vitalità e freschezza poetica a un genere d’arte che le convenzioni accademiche hanno reso sterili e impopolari”: Maurizio Valenzi Sindaco.

Del 1980 è “Amaro è ‘o bene”, altro grande successo del duo Palomba – Bruni, inclusa nel disco “Una voce una città”, che contiene tra l’altro il testo di Eduardo De Filippo “É asciuto pazzo ‘o patrone” musicato da Bruni.


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